Ademollo, fecondo maestro dell’affresco neoclassico

pan1Il Teatro della Pergola, la Cappella di Palazzo Pitti, la Loggia di Porta a Prato, una cappella della Santissima Annunziata sono alcuni edifici fiorentini le cui pareti ospitano opere di Luigi Ademollo (1764-1849), cui si aggiungono affreschi in numerosi palazzi senesi, nel Duomo di Arezzo, nel Palazzo Ducale di Lucca, nel Duomo di Livorno, a Pisa e in altri centri toscani, come Pietrasanta, ma anche in borghi più piccoli, come Borgo a Mozzano, dove qualche anno fa sono stati completati i lavori di restauro degli affreschi nella chiesa di San Rocco. Solo per ricordare una piccola parte delle opere di Ademollo, a testimonianza della sua fervida attività decorativa – migliaia di opere in 60 anni – dedicata a temi sacri e profani di gusto neoclassico. Con Andrea Appiani (1754-1817) e Felice Giani (1758-1823), Ademollo è infatti da considerarsi fra i maggiori interpreti dell’affresco neoclassico ma, a differenza dei suoi colleghi, è oggi meno noto e, forse proprio a causa della sua fecondità, non del tutto catalogato. Manca un regesto vero e proprio, oltre che un riscontro delle opere esistenti e reperibili. Viene da domandarsi perché sia meno citato di Appiani e Giani. Il critico d’arte Francesco Leone, nella presentazione del catalogo “Luigi Ademollo. L’enfasi narrativa di un pittore neoclassico” del 2008, ne individua la causa nell’antiaccademismo dell’artista: “E’ indubbio che la linea anticlassica, che sarebbe più giusto definire antiaccademica e che sempre più e consapevolmente si qualificherà come tale nelle sue evoluzioni artistiche, seguita sul versante formale da Ademollo abbia segnato – decretandone in qualche modo l’estromissione dalle ricostruzioni storiografiche – una parabola unica e senz’altro sperimentale tra la fine del XVIII e il primo ventennio del XIX secolo.”

Milanese di nascita, Luigi Ademollo frequenta giovanissimo l’Accademia di Brera e, ventenne, si reca a Roma, dove rimane per tre anni, perademollo 1 approfondire lo studio che gli sta a cuore: l’antichità romana. Affascinato dalla classicità, egli ha modo di studiarla direttamente nei monumenti della capitale, ma anche nei repertori dei grandi pittori cinquecenteschi, così come nelle ricostruzioni visionarie di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), dal quale assorbirà l’interpretazione fantasiosa dei canoni classici. Nel 1788 si reca a Firenze, dove diventa presto un pittore alla moda, conteso da nobili famiglie, nonché al servizio del granduca Ferdinando III. Egli si dedicò soprattutto all’affresco, ornando le pareti di chiese, ville e palazzi toscani, prima nelle città e, nell’ultima pare della sua carriera, in centri più piccoli con opere a tema religioso, senza però perdere mai la sua originalità. Per le grandi realizzazioni a muro, il maestro si avvaleva di un insieme di artigiani che coordinava, procedendo nel seguente modo: concepiva la messa in pagina muraria di un disegno e progetto di sua mano, tramite bozzetti e, successivamente, disegni in scala; affidava poi i diversi compiti per l’esecuzione dell’opera ai suoi collaboratori, decoratori e artigiani che lavoravano in autonomia. Ornati, figure monocrome, campiture, partitura e dorature sono raramente di mano del maestro. La preparazione del supporto murario era effettuata da apposite maestranze, che si occupavano degli intonaci, della loro rifinitura, della battitura dei fili e della divisione degli spazi per delimitare l’opera finale, oltre che di stuccature e di pose di calchi, stipiti, cornici di porte e finestre. A compimento dell’opera, subentravano altre maestranze per realizzazioni e finiture ulteriori, come la coloritura delle porte e delle finestre, dei bastoni per i tendaggi ecc. In questa modalità Ademollo realizzò pitture murali a fresco, a mezzo fresco, a tempera e a encausto, di cui divenne interprete e sperimentatore, elaborando una originale tecnica di encausticatura.

Fino alla fine di luglio in galleria ospitiamo una panoramica di opere di Luigi Ademollo incentrata su disegni, bozzetti e studi per opere murali appartenute alla collezione Gianni Versace. Il noto stilista ammirava moltissimo l’opera artistica di Luigi Ademollo, diventandone un appassionato collezionista, tanto da portare attenzione a questo autore fino ad allora poco apprezzato.

Sergio Baroni

Custode di segreti

Oggi per #curiositadarte a cura di #galleriabaroni vi sveliamo i segreti di questo elegante secrétaire à abattant di epoca Impero attribuito, per qualità ed eleganza, a Giovanni Socci, capostipite di una delle più attive botteghe di falegnameria ed ebanisteria della Firenze tra Settecento e Ottocento. Esemplare italianissimo, questo, per gusto, tecnica e stile, appartiene di fatto a una categoria francese, tanto che anche in Italia si continua a usare il termine secrétaire.

L’intero mobile, con fusto in ciliegio (e non in rovere come usava in Francia), è impiallacciato in piuma di mogano, essenza di importazione dalle Americhe, apprezzata all’epoca per il suo colore caldo; il piano, anch’esso a conferma della sua provenienza nazionale, è in marmo bianco di Carrara. Al di là della “facciata” da mobile sobrio ed elegante, esso nasconde impensabili meccanismi e trucchi che ne fanno un custode di segreti: una volta calato l’abattant (il piano ribaltabile), quello che appare come un listello ornamentale è in realtà un cassetto estraibile e le lesene con testa egizia, che scandiscono i vani interni a cassettini, sono anch’esse estraibili grazie a un ingegnoso meccanismo che si attiva con uno spillo dall’interno, rivelando la loro vera natura di portadocumenti. Siamo dunque già in epoca romantica, con l’attitudine a custodire i “segreti del cuore”: lettere intime, ciocche di capelli, piccoli ritratti, pegni d’amore.. Dal punto di vista stilistico, è interessante notare la scelta delle teste egizie, che rimandano alle sfingi, al posto delle teste di donna, per una trasformazione in chiave egizia della cariatide classica. Il secrétaire in oggetto rientra infatti in quello stile di moda in epoca Impero conosciuto come Retour d’Egypte, al quale la Biblioteca Braidense di Milano ha dedicato la bellissima mostra “Da Brera alle piramidi” nel febbraio 2015; mostra che ha visto il prestito da parte della Galleria Baroni di una coppia di sfingi, oltre a un allestimento in stile egizio di cui il secrétaire era parte.

La passione per l’Egitto anima una splendida mostra milanese

Da Brera alle piramidi“Da Brera alle piramidi” che rimarrà aperta fino all’11 aprile alla Biblioteca Braidense di Milano, è  a mio parere una delle più belle mostre che sia stata fatta di recente nel capoluogo lombardo, complice un patrimonio di testi, documenti e immagini fra i più ricchi al mondo, custodito all’Università Statale di Milano e alla Biblioteca Braidense. Interessante e intrigante l’argomento: l’egittologia e la passione per l’Egitto che segnano la nostra storia lungo i secoli, dal Rinascimento all’epoca moderna, toccando la cultura istituzionale così come quella popolare. Un tema di cui la mostra offre un panorama di altissimo profilo, capace di catturare l’attenzione e la curiosità del visitatore. Il percorso espositivo si apre con un arredo della scenografia per la prima rappresentazione dell’Aida, per continuare lungo la storia dell’egittologia attraverso studi, disegni, incisioni, racconti, fotografie. Alcuni esempi: le tavole del Polifilo, romanzo allegorico della fine del Quattrocento con raffigurazioni ispirate all’Egitto in seguito ai primi studi archeologici nella Roma rinascimentale; le seicentesche illustrazioni del filosofo e museologo gesuita Athanasius Kircher, uomo dal sapere enciclopedico, studioso della scrittura egizia al quale si deve uno dei primi studi sui geroglifici egiziani; la prima edizione francese (1802) e italiana (1808) del Viaggio nel Basso e Alto Egitto a cura dello scrittore, incisore e storico dell’arte Dominique Vivant Da Brera alle piramidiDenon: un resoconto splendidamente illustrato del suo viaggio nella campagna d’Egitto al seguito di Napoleone; le incisioni di Giovanni Battista Piranesi con le decorazioni per i camini di gusto egizio, segno dell’influenza dell’Egitto sul gusto decorativo; sempre in ambito di arredo e decorazione, i bozzetti per la prima scaligera dell’Aida; e ancora, gli studi seguiti alla scoperta della Stele di Rosetta, che permisero a Jean-Francois Champollion di trovare la chiave per l’interpretazione dei geroglifici. Bastano questi pochi esempi per far capire la ricchezza e il calibro della mostra, che comprende anche quel fenomeno di costume conosciuto come egittomania, diffuso tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento: dai fumetti ai gialli, dai libretti d’opera ai balletti, all’arredamento, ai gioielli, ai decori ecc. Non dimentichiamo la grande influenza e di conseguenza il grande sviluppo nelle arti decorative e negli arredi, che sono stati decorati con una simbologia allestimento_rancatilegata all’antico Egitto negli stili Direttorio, Consolato, Impero, Restaurazione, che rappresenta la suddivisone del neoclassicismo. L’itinerario, che si snoda nella bellissima Sala Teresiana che dell’Egitto reca tracce nella decorazione murale, si chiude con le due sfingi (coll. Baroni), quasi a guardia della mostra, che fungono da passaggio ad alcune opere caratterizzate da un’iconografia egizia nell’adiacente Pinacoteca di Brera , fra cui spicca la famosa Predica di San Marco di Gentile e Giovanni Bellini.

Concludendo, consiglio a tutti di non perdere questo evento, al quale fa da egregio “pendant” la mostra dedicata al fotografo Theodor Kofler, “Egitto dal cielo 1914“, dedicata alla riscoperta del fotografo austriaco attivo in Egitto e autore delle prime fotografie aeree degli scavi egizi.

Sergio Baroni

 

La mostra “Da Brera alle piramidi” è stata voluta e curata dalla Biblioteca Braidense, nelle figure di Anna Torterolo e Aldo Coletto, dall’Università Statale di Milano, nelle figure di Patrizia Piacentini, professore ordinario di Egittologia, e di Christian Orsenigo; dal Politecnico di Milano, nella persona di Pierluigi Panza. Luogo della mostra è anche la Mediateca di Santa Teresa in via della Moscova, dove si tengono alcune delle conferenze:

Vivant Denon, la libertà, l’arte e il Nilo, Anna Torterolo, martedì 3 marzo, ore 18.00;

Dai papiri egizi alle carte egittologiche a Milano: due secoli di contatti fra l’Egitto e la città, Patrizia Piacentini, martedì 10 marzo, ore 18.00;

Un secolo di grandi scoperte archeologiche, Christian Orsenigo, martedì 17 marzo, ore 18.00;

L’architettura dei Faraoni, Pierluigi Panza, martedì 24 marzo, ore 18.00;

Tracce di Egitto nell’Archivio Storico Ricordi, Maria Pia Ferraris, giovedì 26 marzo, ore 18.00;

Che cinema d’Egitto! L’Egitto nell’immaginario cinematografico, Sergio Gatti, martedì’ 31 marzo, ore 18.00.

 

La Galleria Baroni partecipa alla mostra “Da Brera alle Piramidi”

Sfingi ImperoUna coppia di sfingi siciliane dei primi Ottocento è il prestito della Galleria Baroni alla mostra “Da Brera alle Piramidi” che si tiene alla Biblioteca Braidense di Milano dal 21 febbraio all’11 aprile 2015. A curarla la Biblioteca stessa in collaborazione con la Cattedra di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano. L’intento è quello di sottolineare il forte legame tra la Valle del Nilo e la città di Milano, in particolare con Brera, riconosciuta internazionalmente come uno dei maggiori poli culturali della città. Altri prestiti arrivano dalla raccolta Egizia del Civico Museo Archeologico di Milano, dall’Archivio Storico Ricordi e da antiquari e privati. Il tema è il ricorrere del gusto egizio nel corso dei secoli, dal XVI al XIX, mettendo in evidenza il collegamento tra la conoscenza reale dell’Egitto attraverso gli scavi e le pubblicazioni e l’impatto sull’immaginario collettivo, che portò alla realizzazione di oggetti e di opere artistiche che reinterpretarono l’Egitto. Origine di questa passione fu lo stile Retour d’Egypte (1798 – 1815), nato dalla campagna napoleonica in Egitto. Il trampolino di lancio fu la pubblicazione nel 1802 del Voyage dans le Basse et la Haute Egypte pendant les campagnes du général Bonaparte a cura del barone egittologo Dominique Vivant Denon, che raccoglie i disegni degli artisti e degli studiosi al seguito di Napoleone durante la campagna per ritrarre i reperti archeologici. E così, in Francia, in Italia e in altri Paesi d’Europa gli arredi e gli oggetti decorativi si ricoprirono di ornati e decori “egizi”: sfingi, erme, palmette, obelischi, cariatidi, urne funerarie ecc.

Le sfingi prestate dalla Galleria Baroni provengono da uno scalone di villa palermitana. Lontane dal seguire pedissequamente i canoni stilistici codificati dagli architetti napoleonici, esse mostrano una libera e fantasiosa interpretazione dello stile egizio, che in questo caso trasforma l’archetipo della sfinge in chiave fantastica, con una commistione tra le fattezze muliebri e quelle ferine. E’ tipico, infatti, della Sicilia esprimersi con grande creatività e con una propensione all’eccesso, sia per dimensioni, sia per ricchezza decorativa. Si vedano, in questo caso, il motivo decorativo a perlinature che segna la scollatura dell’abito e che divide simmetricamente la linea mediana del copricapo sulla testa di donna, prolungandosi sul corpo ferino; o ancora, le braccia umane ma con peli animali e mani simili a zampe, in contrasto con la milanomia.com007femminilità sotttolineata dalla morbidezza dell’abito.

A ideale prolungamento della mostra, la Galleria Baroni ha creato un allestimento in stile egizio: innanzitutto un imponente lampadario russo in bronzo dorato con cristalli molati, composto da ampia coppa da cui dipartono sei bracci in bronzo dorato, ognuno avvolto da un serpente attaccato dall’ibis – uccello sacro del Nilo – appoggiato al bordo della coppa. E’ un oggetto interessante anche perché fu IMG_0804acquistato dalla signora Sapegno, moglie del critico letterario Natalino Sapegno, su consiglio dell’esperto di arte decorativa Mario Praz, per la casa di Roma. Presenti inoltre un secrétaire realizzato nel Granducato di Toscana, poggiante su piedi ferini a ribalta e decorato con erme dalla testa di sfinge e uno straordinario gioco di cassetti e segreti all’interno, attribuito a Giovanni Socci e un tavolo rettangolare con piano in marmo bianco di Carrara, poggiante su gambe-sculture in ebano raffiguranti quattro serpi con testa e piede di ibis che si incrociano a X e sono raccordate da piano in marmo; una base per lampada composta da un vaso decorato in bronzo; infine due piastre in marmo bianco e nero a bassorilievo.

Inaugurazione mostra “Da Brera alle piramidi” venerdì 20 febbraio alle ore 18.00. biblioteca Nazionale Braidense, Sala Teresiana, via Brera 28 Milano.

Dal 21 febbraio all’11 aprile 2015, dal lunedì al sabato, dalle 9.30 alle 13.00. Ingresso gratuito

 

Fidelio riflesso nel Settecento veneziano

La mostra in corso alla Galleria Baroni, “Fidelio. Riflesso in terrecotte”, che si è inaugurata ieri sera, mercoledì 26 novembre, offre un insieme d’eccezione di specchiere veneziane settecentesche che “abbracciano” gli embrici figurali di Enzo Scuderi, da cui emergono i personaggi fideliani: le due pareti laterali a specchi invitano al colpo d’occhio della parete centrale, rivestita dai protagonisti dell’opera di Beethoven, che quest’anno inaugura la stagione scaligera e alla quale la mostra si ispira. Mentre nelle terrecotte le immagini si fissano nella contaminatio con la superficie materica, nelle specchiere nulla permane, nell’apparire e scomparire continuo delle figure riflesse. Quelle momentaneamente trattenute sono i nove personaggi del Fidelio più il compositore, che Scuderi reinterpreta con l’ausilio di un materiale vivo, i cui segni, dalle muffe ai licheni, dalle rotture alle mancanze, partecipano alla caratterizzazione della figura. E sono trattenute da preziosissime specchiere veneziane del Settecento, selezionate perché “dire specchio è dire Venezia“. L’immaginario collettivo infatti porta subito alla città lagunare, anche se questo arredo nel Settecento è presente e diffuso in tutta Europa. Ciò che fa di Venezia la capitale della specchiera è l’estrosità dei manufatti, grazie all’incrocio tra diverse culture, con le influenze orientali che si intrecciano agli stili europei. Il potere economico, la stabilità politica, i contatti commerciali e culturali con l’Oriente danno vita a una capacità creativa unica nell’abbinamento di materiali diversi, lavorati nelle maniere più fantasiose, con un’esplosione di forme negli intagli, di raffinatezza negli intarsi, di ricchezza di forme nelle dorature, di ricercatezza nei materiali come madreperla, vetro inciso, colorato o dipinto.

La specchiera nel Settecento continua a proporre gli stessi motivi decorativi e le stesse forme del periodo precedente, ma è riconoscibilissima perché assume più leggerezza per il bizzarro movimento à rocailles. La prima metà del secolo è caratterizzata dall’impiego di incrostazioni di madreperla e pietre dure, intagli dorati, anche in abbinamento tra oro lucido e opaco, raffiguranti foglie d’acanto, viticci, conchiglie, ramages, nastri, mascheroni, incisioni, queste ultime spesso a motivi orientali. I motivi decorativi derivano dalla fauna, dalla flora, dalla figura umana. Gli animali preferiti sono colombi, delfini, i fiori sono a mazzolino o a ghirlanda, la conchiglia è molto usata dentellata, traforata, pieghettata. L’esuberanza delle cimase si spinge al punto che le cartelle si inclinano verso l’esterno e sono contornate da motivi intagliati. Numerose le simbologie, come nella specchiera dorata e decorata con grandi cuori rossi, in mostra, eseguita per un matrimonio, in cui due cuori laterali della cimasa si fondono in quello unico centrale, molto più grande. Nel corso del secolo le linee delle cornici saranno meno mosse e più simmetriche: rettangolari, quadrate, talvolta circolari od ovali con la parte superiore ornata da rosoni a foglia di acanto, da fogliame, viticci e placche di bronzo, di vetro o di specchio inciso che ricoprono gli angoli di raccordo.

Gli stili successivi non avranno la stessa originalità e creatività. L’Ottocento riproporrà tutte le forme del passato, ma la produzione diventa quasi industriale e seriale, senza più la cifra stilistica che aveva caratterizzato il secolo precedente.

Sergio Baroni

 

 

 

 

 

Omaggio alla Scala: Fidelio, riflesso in terrecotte

In occasione dell’apertura della stagione scaligera di quest’anno, la Galleria Baroni ospita una serie di opere figurali in omaggio a Fidelio: i coppi in terracotta disegnati e dipinti da Enzo Scuderi, accompagnati da antiche specchiere dei secoli XVII – XIX, in un gioco di riflessi e di rimandi tra i volti che affiorano dai “cocci rugginosi” dell’artista catanese e i volti che appaiono e scompaiono nelle superfici riflettenti. La mostra, dal titolo “Fidelio. Riflesso in terracotte”, si inaugura mercoledì 26 novembre e rimarrà aperta fino alla fine di gennaio 2015. È dai primi Anni 90 che Enzo Scuderi ha eletto i coppi toscani – le antiche tegole in cotto – a supporto per le sue creazioni: le incrostazioni, le muffe, i licheni, le tonalità cromatiche, perfino le mancanze sono al contempo sfondo e parte integrante dei soggetti che egli disegna a matita e dipinge a inchiostro di china. E così, una materia in disuso rinasce con rinnovate potenzialità espressive. Talvolta volti e figure affiorano, quasi in trasparenza, dai segni del tempo che restano in primo piano, mentre talaltra ne sono il completamento, così che pochi tratti bastano a delineare un soggetto, composto anche dalle imperfezioni della superficie. Immagini archetipe, quali volti di guerriero classico, apparizioni oniriche, maschere teatrali, figure allungate di gusto preraffaellita… le creazioni di Scuderi percorrono tempo e storia dell’arte in una rivisitazione dettata dalla singolarità della materia e dalla passione musicale; come le opere in mostra, dedicate ai personaggi fideliani.

“Ospitare le opere dedicate ai protagonisti di Fidelio, fissate in queste astratte superfici, mi ha fatto pensare subito alle immagini catturate in modo effimero dalle specchiere, che rappresentano un’eccellenza della Galleria Baroni. E così le une, con i volti e le figure permanenti, si contrappongono alle altre, con il loro continuo cangiare dei soggetti riflessi. La relazione tra gli antichi coppi in terracotta, espressione artistica di arte contemporanea, e le specchiere, espressione di arte decorativa, è nell’appropriarsi dell’immagine figurale: nel primo caso per fissarla stabilmente, poiché essenziale alla composizione artistica, nel secondo per imprigionarla e poi lasciarla scomparire, in un divenire continuo attraverso il tempo”.

Sergio Baroni

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“Il volto e la maschera”, in galleria fino alla fine di settembre

Martedì 16 settembre riapre la Galleria Baroni con l’esposizione “Il volto e la maschera” inaugurata nel giugno scorso. La mostra, che indaga il difficile e intrigante rapporto tra la persona e il personaggio attraverso una carrellata di busti e volti del Novecento italiano, rimarrà aperta fino alla fine di settembre. Non solo, nello stesso mese saranno organizzate serate di approfondimento con le “interpreti” della mostra, le psicanaliste che hanno letto le opere artistiche esposte in chiave psicologica: Luisa Mariani, Adriana Mazzarella, Giuliana Kantza, Silvana Koen.

A presto con le prossime novità

Sergio Baroni

 

“Il volto e la maschera”. Sculture e dipinti del 900 italiano in mostra alla Galleria Baroni

2014_05_06_andrea_satta_0314_001In seguito agli studi sulla psiche e alla nascita della psicanalisi, agli inizi del ‘900 gli artisti si interessano alla personalità umana nelle molteplici sfaccettature: la persona e il personaggio, il conscio e l’inconscio, il volto e la maschera.. in un “gioco delle parti” che non può che portare a una verità parziale, perché ognuno di noi è “uno nessuno centomila” e “così è se vi pare”. I titoli delle opere pirandelliane appartengono ormai alla memoria collettiva del Novecento e scavalcano la letteratura, rappresentando un leitmotiv che attraversa tutta l’arte dell’epoca moderna.

La maschera allude alla simulazione, voluta o dovuta, ma fin dall’antichità è anche la maschera dell’attore. Il volto? Talvolta maschera, come nel ritratto ufficiale, istituzionale, pubblico, alla quale si contrappone il volto più intimo, svelato, persino rubato. Prospettive diverse che mi hanno stimolato a comporre una mostra dedicata a questo tema, indagato attraverso opere scultoree e pittoriche del Novecento italiano. Una carrellata di personaggi reali e di fantasia, tra busti, volti, ritratti, interpretati non da critici d’arte, bensì da psicoanalisti di diverse scuole.

Dialogano i busti in bronzo di ispirazione classica opera di Angelo Biancini (1911-1988), con i due volti di San Francesco di tempra wildtiana, volti realistici a cui fanno da controcanto i mascheroni da teatro greco del torinese Giovanni Battista Alloati (1878-1964) e i due enormi mascheroni di Bertozzi e Casoni del 1998, realizzati per l’Esposizione “Abitare il Tempo” di Verona. Maschera è anche La Malinconia, volto in ceramica smaltata del 1932 a opera del ceramista faentino Pietro Melandri (1885-1976) che, dopo essere apparsa sulla rivista “Domus” nel maggio 1933, scomparve fino a pochi anni fa, quando fu ritrovata quasi per caso. Un’opera che il critico Emanuele Gaudenzi considera “fra le creazioni originali di Melandri, al pari della Maschera del Vento, della Testa di Medusa e di altre opere riferibili allo stesso periodo.”

melandri mazzolani beethoven2014_05_06_andrea_satta_0101Maschera può considerarsi anche il volto corrucciato e intenso di Beethoven in maiolica smaltata di Pietro Melandri ed Enrico Mazzolani (1876-1968) e alle maschere, quelle del teatro, allude la neoclassica Talìa, statua in marmo bianco di Ercole Drei (1886-1973), salvata anch’essa casualmente come La Malinconia, quando fu ritrovata sotto il porticato di una villetta milanese qualche anno fa.  Di Drei sono anche il busto in terracotta di una giovane e bellissima Wally Toscanini e una canefora in ceramica craquelée e altro bel volto femminile è quello in cera rossa di Libero Andreotti (1875-1933). Per lo più al soggetto muliebre sono dedicate anche le opere in mostra di Arrigo Minerbi (1881-1960): il busto di Eleonora Duse, il volto femminile Crisalide, entrambe in marmo bianco di Carrara, il volto di Santa Cecilia in terracotta e un particolare in terracotta della Maternità, opera in marmo che si trova nell’ingresso della clinica Mangiagalli di Milano. Pur essendo di origine ebraica, Minerbi ha una forte produzione di opere a soggetto religioso appartenente al cristianesimo, di cui abbiamo un esempio in mostra con il volto di Cristo, particolare della Pietà  appartenente alla famiglia Marzotto a Valdagno.

baccanale

Come sfondo a questo insieme di volti e di maschere, ho scelto la grande pittura con Baccanale lunga 7 metri e alta quasi 2 realizzata nel 1924 da Charlotte H. Monginot (1872-?), scultrice anch’essa. Benché artista straniera, unica in questa panoramica italiana, ho voluto inserirla poiché italiana di adozione, in quanto appartenuta a Gianni Versace, che l’aveva inserita nel contesto neoclassico di Villa Fontanelle di Moltrasio (Co). Anche il Ritratto di Lucrezia, datato 1949, di Achille Funi (1886-1973), un chiaro esempio della sua rilettura novecentesca del classicismo. Ho infine prolungato il secolo, accogliendo alcune opere dei primi anni del XXI secolo, per poter ospitare un autore di cui ho grande stima e che è da considerarsi novecentesco: Giulio Ruffini, scomparso nel 2008 a 86 anni. Un autore che, come altri in mostra, è originario dell’Emilia Romagna. Ricordo infine un’opera che mi è particolarmente cara: l’autoritratto ironico e giocoso di Bruno Munari dal titolo Maschera a forma di farfalla, che l’artista mi donò nel 1983 in segno di amicizia.

Completano la mostra opere provenienti dalla galleria di Diego Gomiero e Daniela Balzaretti.

Ringazio il professor Alfonso Panzetta, storico della scultura italiana, per i preziosi consigli nell’allestimento di questa esposizione.

Per le interpretazioni psicoanalitiche che affiancano le opere in mostra, ringrazio Luisa Mariani, Adriana Mazzarella, Giuliana Kantza, Silvana Koen.

Sergio Baroni