Photogallery inaugurazione mostra “Il volto e la maschera”, 11 giugno 2014

 

 

“Il volto e la maschera”. Sculture e dipinti del 900 italiano in mostra alla Galleria Baroni

2014_05_06_andrea_satta_0314_001In seguito agli studi sulla psiche e alla nascita della psicanalisi, agli inizi del ‘900 gli artisti si interessano alla personalità umana nelle molteplici sfaccettature: la persona e il personaggio, il conscio e l’inconscio, il volto e la maschera.. in un “gioco delle parti” che non può che portare a una verità parziale, perché ognuno di noi è “uno nessuno centomila” e “così è se vi pare”. I titoli delle opere pirandelliane appartengono ormai alla memoria collettiva del Novecento e scavalcano la letteratura, rappresentando un leitmotiv che attraversa tutta l’arte dell’epoca moderna.

La maschera allude alla simulazione, voluta o dovuta, ma fin dall’antichità è anche la maschera dell’attore. Il volto? Talvolta maschera, come nel ritratto ufficiale, istituzionale, pubblico, alla quale si contrappone il volto più intimo, svelato, persino rubato. Prospettive diverse che mi hanno stimolato a comporre una mostra dedicata a questo tema, indagato attraverso opere scultoree e pittoriche del Novecento italiano. Una carrellata di personaggi reali e di fantasia, tra busti, volti, ritratti, interpretati non da critici d’arte, bensì da psicoanalisti di diverse scuole.

Dialogano i busti in bronzo di ispirazione classica opera di Angelo Biancini (1911-1988), con i due volti di San Francesco di tempra wildtiana, volti realistici a cui fanno da controcanto i mascheroni da teatro greco del torinese Giovanni Battista Alloati (1878-1964) e i due enormi mascheroni di Bertozzi e Casoni del 1998, realizzati per l’Esposizione “Abitare il Tempo” di Verona. Maschera è anche La Malinconia, volto in ceramica smaltata del 1932 a opera del ceramista faentino Pietro Melandri (1885-1976) che, dopo essere apparsa sulla rivista “Domus” nel maggio 1933, scomparve fino a pochi anni fa, quando fu ritrovata quasi per caso. Un’opera che il critico Emanuele Gaudenzi considera “fra le creazioni originali di Melandri, al pari della Maschera del Vento, della Testa di Medusa e di altre opere riferibili allo stesso periodo.”

melandri mazzolani beethoven2014_05_06_andrea_satta_0101Maschera può considerarsi anche il volto corrucciato e intenso di Beethoven in maiolica smaltata di Pietro Melandri ed Enrico Mazzolani (1876-1968) e alle maschere, quelle del teatro, allude la neoclassica Talìa, statua in marmo bianco di Ercole Drei (1886-1973), salvata anch’essa casualmente come La Malinconia, quando fu ritrovata sotto il porticato di una villetta milanese qualche anno fa.  Di Drei sono anche il busto in terracotta di una giovane e bellissima Wally Toscanini e una canefora in ceramica craquelée e altro bel volto femminile è quello in cera rossa di Libero Andreotti (1875-1933). Per lo più al soggetto muliebre sono dedicate anche le opere in mostra di Arrigo Minerbi (1881-1960): il busto di Eleonora Duse, il volto femminile Crisalide, entrambe in marmo bianco di Carrara, il volto di Santa Cecilia in terracotta e un particolare in terracotta della Maternità, opera in marmo che si trova nell’ingresso della clinica Mangiagalli di Milano. Pur essendo di origine ebraica, Minerbi ha una forte produzione di opere a soggetto religioso appartenente al cristianesimo, di cui abbiamo un esempio in mostra con il volto di Cristo, particolare della Pietà  appartenente alla famiglia Marzotto a Valdagno.

baccanale

Come sfondo a questo insieme di volti e di maschere, ho scelto la grande pittura con Baccanale lunga 7 metri e alta quasi 2 realizzata nel 1924 da Charlotte H. Monginot (1872-?), scultrice anch’essa. Benché artista straniera, unica in questa panoramica italiana, ho voluto inserirla poiché italiana di adozione, in quanto appartenuta a Gianni Versace, che l’aveva inserita nel contesto neoclassico di Villa Fontanelle di Moltrasio (Co). Anche il Ritratto di Lucrezia, datato 1949, di Achille Funi (1886-1973), un chiaro esempio della sua rilettura novecentesca del classicismo. Ho infine prolungato il secolo, accogliendo alcune opere dei primi anni del XXI secolo, per poter ospitare un autore di cui ho grande stima e che è da considerarsi novecentesco: Giulio Ruffini, scomparso nel 2008 a 86 anni. Un autore che, come altri in mostra, è originario dell’Emilia Romagna. Ricordo infine un’opera che mi è particolarmente cara: l’autoritratto ironico e giocoso di Bruno Munari dal titolo Maschera a forma di farfalla, che l’artista mi donò nel 1983 in segno di amicizia.

Completano la mostra opere provenienti dalla galleria di Diego Gomiero e Daniela Balzaretti.

Ringazio il professor Alfonso Panzetta, storico della scultura italiana, per i preziosi consigli nell’allestimento di questa esposizione.

Per le interpretazioni psicoanalitiche che affiancano le opere in mostra, ringrazio Luisa Mariani, Adriana Mazzarella, Giuliana Kantza, Silvana Koen.

Sergio Baroni

Una scuderia fatta “ad arte”

entrata cavalliCollezionisti e amanti di oggetti d’arte particolari, rari e decisamente fuori dall’ordinario potranno apprezzare questa “scuderia” di cavalli da presepe che ho  deciso di esporre alla Galleria Baroni. Raccolti oltre quindici anni fa, formano un gruppo di 14 elementi databili tra Sette e Ottocento, di provenienza genovese, napoletana e siciliana. Dieci di essi sono in legno, tre in cartapesta e uno, quello siciliano, in terracotta.

Considerati animali nobili, i cavalli nel presepe erano destinati esclusivamente ai Re Magi e quindi presenti in numero di tre, mentre abbondavano tutti gli altri animali da fattoria e da cortile, come muli, pecore, capre, maiali, polli, galli ecc. Caratteristiche dei tre cavalli da presepe erano i colori e le posizioni: bianco, nero e baio (rosso bruno) per quanto riguarda i primi, mentre per le posizioni si hanno quella sulle zampe posteriori, quella al trotto e quella al passo.

Sono oggetti rarissimi da trovare, perché oltre a essere soltanto tre rispetto al numero cospicuo degli altri animali, spesso venivano lasciati ai bambini, una volta disallestito il presepe. Erano infatti da questi molto ambiti come giocattoli, venivano quindi usati e, di conseguenza, spesso rovinati, andando distrutti.

La bellezza e l’accuratezza di questi animali li rende opere d’arte. Del resto,  fra le famiglie nobili si svolgevano vere e proprie sfide per il presepe più ricco e meglio addobbato, che veniva allestito, come un “quadro vivente” di scenografica composizione, all’interno dei palazzi.

La tradizione del presepe nel nostro Paese è antica e  vi hanno lavorato grandi artisti pittori e scultori; ma anche artigiani di ogni genere, come ceroplasti, ceramisti, orefici, costruttori di strumenti musicali, intagliatori, addirittura animalisti.

Il presepe più vecchio conservato, sebbene parzialmente, si trova nella basilica romana di S. Maria Maggiore, a opera di Arnolfo di Cambio. Ma è dal Quattrocento che diventa popolare, con opere monumentali, fino alla sua massima diffusione nel XVIII secolo.

Sergio Baroni